B&A Classcics - PMI:la ricetta per un decollo senza scosse
In Italia, in proporzione, poche aziende decidono di compiere il passo che le farà diventare globali, per timore di non avere successo o, più frequentemente, per paura di perdere il controllo. In questo articolo vengono presentati pochi e semplici ingredienti che consentono all’impresa di prendere con sicurezza il volo, conservando il timone nelle mani dell’imprenditore. Nella vita di un’impresa giunge un momento in cui si devono raccogliere le forze per passare in poco tempo ad una dimensione e ad un respiro di un ordine di grandezza superiore. È la cosiddetta fase del decollo, che in pochi anni proietta l’azienda sui mercati internazionali.
In Italia sono poche, in proporzione, le aziende che decidono di fare questo passo, per timore di non avere successo o, più frequentemente, per paura di perdere il controllo. In questo articolo vengono evidenziate le cinque condizioni e i due step che rendono possibile, per una piccola o media azienda, un decollo vincente consentendo all’imprenditore che l’ha portata al successo di mantenere il controllo societario e realizzando al contempo una trasparenza ed una negoziabilità del suo valore.
Provate a guardare fra le prime cinquecento imprese globali analizzate da Fortune nel 2023: l’Italia seconda potenza industriale in Europa e settima nel mondo, che nel 2007 ne contava 10 ora è scomparsa. Il Regno Unito, con un prodotto interno lordo di poco superiore a quello italiano, ne conta 15, la Francia è a quota 23 e la Germania a 30. Del Giappone è meglio non parlare (41), e sanno fare meglio di noi anche gli svizzeri (11) e gli olandesi (10).
Ma perché è così difficile vedere, al di là del classico made in Italy, nomi italiani nel mondo? Perché, ad esempio, oltre due terzi degli americani sono convinti che la pizza sia nata negli USA? Perché le più grandi operazioni che hanno al centro alcuni dei miti italiani, come il caffè espresso e il cappuccino, devono essere targate Svizzera o USA? Perché è sempre più diffusa la falsificazione dei nostri migliori prodotti alimentari?
Il punto è che le nostre imprese mostrano una strutturale debolezza in quella che viene comunemente detta la fase del decollo, e se questa carenza poteva, solo qualche anno fa, essere trattata come un peccato veniale, nell’ottica consolatoria del piccolo è bello, oggi, in un’economia globalizzata, diventa un tema di estrema criticità.
Vediamo quindi come è possibile, esaminando i momenti chiave nel ciclo di vita di un’impresa, e sulla base dell’analisi di numerosi casi di successo e di insuccesso, evidenziare le attività che vanno intraprese per supportare e rendere più facile il momento del decollo.
Le cinque fasi nello sviluppo di un’impresa
Nel ciclo di vita di un’impresa possono normalmente essere individuate cinque fasi.
Nella prima, la nascita, l’imprenditore, convinto di una propria idea di impresa, lavora duramente per realizzarne l’esistenza, nella seconda, lo sviluppo, l’impresa si dota delle capacità e degli strumenti per sopravvivere prima e poi crescere. Nella terza fase, quella della maturità, l’impresa raggiunge il successo: l’organizzazione si sviluppa e la redditività cresce, si creano le risorse per la quarta fase, il decollo, nel corso della quale l’impresa compie importanti cambiamenti organizzativi, finanziari e strutturali mirati a renderla competitiva sui mercati di tutto il mondo. Si tratta di uno sforzo rilevante che richiede grande motivazione e determinazione e che frequentemente porta a modifiche strutturali in tema di governance e di compagine azionaria.
Nella quinta fase, la globalizzazione, l’impresa si internazionalizza e pone le premesse per uno sviluppo di lungo periodo.
Nella realtà italiana, dopo aver concretizzato con enormi sforzi la propria idea di impresa ed aver raggiunto successo e redditività, l’imprenditore spesso si ferma. Pur disponendo delle premesse per un decollo internazionale e successivamente per un rafforzamento su scala globale, molte delle nostre imprese familiari di successo esitano, fanno scelte sbagliate e finiscono per mancare le opportunità di decollo che periodicamente, come veri e propri slot, si presentano alla loro azienda. I casi di decollo favorevole sono sempre rari: spesso al momento di spiccare il balzo l’impresa inizia ad appassire lentamente o passa di mano diventando parte di qualche gruppo multinazionale (spesso, per ironia, a proprietà familiare!).
In definitiva, per continuare con la metafora, al numero oggettivamente rilevante di imprese italiane che continuano a muoversi sulla pista di rullaggio non corrisponde un numero adeguato di aziende in volo.
Le cinque “F” che permettono il decollo
Se analizziamo molti casi in cui il decollo è avvenuto con successo, sia per quanto riguarda le imprese italiane, sia con riferimento a casi internazionali, è possibile individuare con sufficiente chiarezza cinque condizioni da realizzare perché questo momento estremamente critico nella vita di un’impresa si realizzi con favore:
1. Focus. Mantenere elevata l’attenzione al core business. Giunto al successo, l’imprenditore o i suoi eredi spesso disperdono risorse finanziarie e mentali in iniziative che non hanno grande attinenza con l’impresa. Diversificazioni azzardate, investimenti immobiliari impegnativi, progetti di ricerca eccessivamente innovativi, finiscono per aprire drammatiche crepe nell’unità di intenti che ha caratterizzato l’impresa fino a quel momento. L’effetto è evidente: non si raggiunge la massa critica per nessuna attività di marketing e di sviluppo e la scarsa chiarezza di obiettivi si traduce in un crollo della motivazione di tutti coloro che lavorano in azienda. Imprese familiari di grande successo devono gran parte dei risultati ottenuti proprio alla capacità di mantenere il focus.
2. Formula. Rendere replicabile la formula del successo. C’è un modo per verificare se un’impresa di successo ha le carte in regola per decollare: chiedere all’imprenditore di illustrare il modello di business dell’azienda, ovvero la sua formula di successo. Se otterrete una descrizione sintetica e completa, l’azienda è pronta per il grande balzo, se viceversa la descrizione, come spesso accade, è confusa e lacunosa, allora i presupposti non sono buoni. Descrivere in dettaglio le condizioni che rendono possibile la replica della formula di successo su più sedi o in diversi mercati è la base per uscire da una dimensione legata alla persona e puntare ad una dimensione di sistema. La replica efficace si basa inoltre sempre più su di un uso competitivo delle tecnologie informative.
3. Finanza. Dotare l’impresa di risorse finanziarie idonee. Il timore di perdere il controllo azionario dell’impresa è quasi sempre alla base della cronica sottocapitalizzazione di molte medie imprese italiane. Il concetto secondo il quale è sei volte meglio controllare il 60% di un’impresa che vale 1000 piuttosto che il 100% di una che vale 100 è facile da esprimere ma molto più difficile da realizzare. Il momento del decollo è quello in cui maggiori sono i fabbisogni finanziari, tuttavia, la scarsa dimestichezza che la piccola e media impresa ha con gli strumenti di finanza straordinaria e la sostanziale e interessata ignoranza che, in merito a tali strumenti, caratterizza la gran parte del sistema bancario italiano fanno sì che la preferenza venga accordata a fonti tradizionali di finanziamento. Queste però sono fortemente soggette alle variazioni di mercato e tendono sempre di più a divenire costose e limitate.
4. Fattore umano. Dare progressivamente all’azienda una struttura manageriale. Di frequente l’ansia di controllare integralmente l’organizzazione porta a scelte discutibili sul piano organizzativo: scelte che privilegiano le persone rispetto alle competenze, con il risultato di arrivare al momento del decollo con un corpo gracile e con un management debole. Non è assolutamente facile managerializzare un’azienda di piccole o medie dimensioni, il punto sta nel farlo progressivamente e non dall’oggi al domani. La soluzione ideale è quella di formare e motivare adeguatamente i collaboratori più promettenti o gli stessi componenti della famiglia che mostrano attitudine, ma ciò richiede tempo, lungimiranza e disponibilità al sacrificio. La storia di due grandi imprese familiari italiane, Ferrero e Barilla, mostra come l’aver affiancato un management di qualità alla presenza carismatica della famiglia abbia permesso di raggiungere traguardi di eccellenza senza per questo escludere la famiglia dalla stanza dei bottoni.
5. Forza. Rendere trasparente e negoziabile il valore e la forza dell’impresa. Disporre di una struttura finanziaria e di una strumentazione che renda agevole la valorizzazione dell’azienda consente di realizzare sistemi incentivanti estremamente efficaci e, al contempo, di risolvere alla base molti problemi di successione e governance. Meccanismi di incentivazione che portino i manager a comportarsi da imprenditori sono spesso il segreto di un decollo di successo. Per le aziende di medie dimensioni è possibile realizzare un percorso di quotazione che inizi dai mercati minori. Ma una buona trasparenza è ottenibile anche per le strutture più piccole, semplicemente adottando modelli di valutazione oggettivi, legati ad esempio all’EBITDA, al valore aggiunto (EVA) o ad altri indici di performance.
Pianificare e realizzare un decollo di successo
A questo punto, chiarite le condizioni necessarie, è utile analizzare nel dettaglio i due momenti chiave in grado di realizzare nella pratica un decollo di successo.
Il primo momento consiste nell’esplicitare, condividere e rendere credibili gli obiettivi a tre-cinque anni che si vogliono conseguire, oltre naturalmente alla strategia di sviluppo che si intende perseguire. Il secondo momento vede un doppio processo di riduzione progressiva del controllo, sia dal punto di vista organizzativo sia dal punto di vista azionario che, adeguatamente pianificato e gestito, darà il risultato di creare valore, rendendo questo stesso valore trasparente e negoziabile e conservando al contempo all’imprenditore il controllo della propria azienda.
Costruire un piano industriale solido, condiviso e credibile.
Spesso si sente affermare che molti dei problemi delle piccole e medie aziende derivano dall’assenza di una strategia industriale di medio-lungo termine. In realtà ciò non è quasi mai vero. Di regola una chiara strategia industriale c’è, ed è più frequente trovarla nelle aziende di piccola e media dimensione piuttosto che in quelle grandi, ma questa strategia è quasi sempre ben nascosta nella testa dell’imprenditore, quasi mai formalizzata e men che meno comunicata. Se si vogliono coinvolgere manager brillanti, finanziatori o operatori della comunità finanziaria che condividano i rischi in un progetto industriale, quest’ultimo deve essere solido e credibile ma, più di ogni altra cosa, deve essere comunicabile per poter essere condiviso. Quindi, a differenza di quanto si crede comunemente, la costruzione di un piano industriale non consiste nel creare una strategia, ma nel mettere nero su bianco e nell’affinare progressivamente la strategia industriale che l’imprenditore conosce bene e che ha maturato nel tempo, corredandola di dati numerici ed evidenze fattuali che la rendano credibile e condivisibile.
L’obiettivo primario di un piano industriale è quello di comunicare, in maniera credibile, gli obiettivi ed il cammino di sviluppo che l’azienda intende percorrere nei successivi tre-cinque anni. Il tutto corredato da numeri che da un lato ne documentino la credibilità e dall’altro ne descrivano compiutamente investimenti, costi, ritorni e redditività attesa. È buona norma prestare sempre grande attenzione ai dati di vendita attuali e futuri su cui si basa il piano. Spesso è molto utile far precedere al piano un ciclo di market test che dia a questi dati la tangibilità e la credibilità che poi supporteranno il resto della documentazione.
Generare valore riducendo, ma conservando, il controllo.
Far crescere rapidamente un’azienda, conservando il controllo dell’organizzazione e della struttura azionaria, rappresenta una sorta di quadratura del cerchio per la gran parte degli imprenditori che si trovano in una fase di crescita e che vedono avvicinarsi questo momento.
In aggiunta molti imprenditori sentono la necessità di rendere trasparente ed in qualche maniera negoziabile il valore della propria azienda. E questo sia per rendere in prospettiva più agevole la fase di successione, sia per poter mettere in atto modelli di incentivazione del management simili a quelli adottati nelle grandi aziende e basati per l’appunto su obiettivi di crescita del valore dell’azienda.
L’esperienza insegna che questa quadratura va ricercata anticipando in maniera graduale e progressiva la riduzione del controllo, mettendo al contempo in atto meccanismi basati su opzioni incrociate che tutelino allo stesso tempo proprietà e investitori. In buona sostanza si deve poter dare all’azienda una spinta manageriale e finanziaria molto intensa ma sostanzialmente limitata nel tempo. È quello che normalmente fanno, in grande, i fondi di private equity: focalizzare al meglio una strategia di crescita rapida e rilevante, spesso tramite acquisizioni, mettere sulla plancia di comando un management fortemente motivato, fornire carburante finanziario, e poi cedere o, se possibile, andare in quotazione. Se ci pensiamo bene, è proprio quello che si desidera: il decollo unito alla trasparenza e alla negoziabilità del valore!
La cattiva notizia è che quasi tutti i fondi entrano preferibilmente su operazioni di rilevante importanza e che comportino la cessione delle quote di controllo dell’azienda; la buona notizia è che non esistono solo i grandi fondi, ma anche investitori privati o istituzionali che intervengono per valori alla portata delle PMI. Ma è anche vero che è possibile selezionare anche altri strumenti nel portafoglio della finanza straordinaria. Ad esempio, oltre ai fondi di private equity esistono strumenti ibridi finanziamento partecipativo, una sorta di azioni privilegiate.
Infine, il percorso può essere concluso con la quotazione di una minoranza su un mercato regolamentato, conciliando in questo modo la creazione di valore, la sua trasparenza e la negoziabilità con la conservazione del controllo.
In Italia sono poche, in proporzione, le aziende che decidono di fare questo passo, per timore di non avere successo o, più frequentemente, per paura di perdere il controllo. In questo articolo vengono evidenziate le cinque condizioni e i due step che rendono possibile, per una piccola o media azienda, un decollo vincente consentendo all’imprenditore che l’ha portata al successo di mantenere il controllo societario e realizzando al contempo una trasparenza ed una negoziabilità del suo valore.
Provate a guardare fra le prime cinquecento imprese globali analizzate da Fortune nel 2023: l’Italia seconda potenza industriale in Europa e settima nel mondo, che nel 2007 ne contava 10 ora è scomparsa. Il Regno Unito, con un prodotto interno lordo di poco superiore a quello italiano, ne conta 15, la Francia è a quota 23 e la Germania a 30. Del Giappone è meglio non parlare (41), e sanno fare meglio di noi anche gli svizzeri (11) e gli olandesi (10).
Ma perché è così difficile vedere, al di là del classico made in Italy, nomi italiani nel mondo? Perché, ad esempio, oltre due terzi degli americani sono convinti che la pizza sia nata negli USA? Perché le più grandi operazioni che hanno al centro alcuni dei miti italiani, come il caffè espresso e il cappuccino, devono essere targate Svizzera o USA? Perché è sempre più diffusa la falsificazione dei nostri migliori prodotti alimentari?
Il punto è che le nostre imprese mostrano una strutturale debolezza in quella che viene comunemente detta la fase del decollo, e se questa carenza poteva, solo qualche anno fa, essere trattata come un peccato veniale, nell’ottica consolatoria del piccolo è bello, oggi, in un’economia globalizzata, diventa un tema di estrema criticità.
Vediamo quindi come è possibile, esaminando i momenti chiave nel ciclo di vita di un’impresa, e sulla base dell’analisi di numerosi casi di successo e di insuccesso, evidenziare le attività che vanno intraprese per supportare e rendere più facile il momento del decollo.
Le cinque fasi nello sviluppo di un’impresa
Nel ciclo di vita di un’impresa possono normalmente essere individuate cinque fasi.
Nella prima, la nascita, l’imprenditore, convinto di una propria idea di impresa, lavora duramente per realizzarne l’esistenza, nella seconda, lo sviluppo, l’impresa si dota delle capacità e degli strumenti per sopravvivere prima e poi crescere. Nella terza fase, quella della maturità, l’impresa raggiunge il successo: l’organizzazione si sviluppa e la redditività cresce, si creano le risorse per la quarta fase, il decollo, nel corso della quale l’impresa compie importanti cambiamenti organizzativi, finanziari e strutturali mirati a renderla competitiva sui mercati di tutto il mondo. Si tratta di uno sforzo rilevante che richiede grande motivazione e determinazione e che frequentemente porta a modifiche strutturali in tema di governance e di compagine azionaria.
Nella quinta fase, la globalizzazione, l’impresa si internazionalizza e pone le premesse per uno sviluppo di lungo periodo.
Nella realtà italiana, dopo aver concretizzato con enormi sforzi la propria idea di impresa ed aver raggiunto successo e redditività, l’imprenditore spesso si ferma. Pur disponendo delle premesse per un decollo internazionale e successivamente per un rafforzamento su scala globale, molte delle nostre imprese familiari di successo esitano, fanno scelte sbagliate e finiscono per mancare le opportunità di decollo che periodicamente, come veri e propri slot, si presentano alla loro azienda. I casi di decollo favorevole sono sempre rari: spesso al momento di spiccare il balzo l’impresa inizia ad appassire lentamente o passa di mano diventando parte di qualche gruppo multinazionale (spesso, per ironia, a proprietà familiare!).
In definitiva, per continuare con la metafora, al numero oggettivamente rilevante di imprese italiane che continuano a muoversi sulla pista di rullaggio non corrisponde un numero adeguato di aziende in volo.
Le cinque “F” che permettono il decollo
Se analizziamo molti casi in cui il decollo è avvenuto con successo, sia per quanto riguarda le imprese italiane, sia con riferimento a casi internazionali, è possibile individuare con sufficiente chiarezza cinque condizioni da realizzare perché questo momento estremamente critico nella vita di un’impresa si realizzi con favore:
1. Focus. Mantenere elevata l’attenzione al core business. Giunto al successo, l’imprenditore o i suoi eredi spesso disperdono risorse finanziarie e mentali in iniziative che non hanno grande attinenza con l’impresa. Diversificazioni azzardate, investimenti immobiliari impegnativi, progetti di ricerca eccessivamente innovativi, finiscono per aprire drammatiche crepe nell’unità di intenti che ha caratterizzato l’impresa fino a quel momento. L’effetto è evidente: non si raggiunge la massa critica per nessuna attività di marketing e di sviluppo e la scarsa chiarezza di obiettivi si traduce in un crollo della motivazione di tutti coloro che lavorano in azienda. Imprese familiari di grande successo devono gran parte dei risultati ottenuti proprio alla capacità di mantenere il focus.
2. Formula. Rendere replicabile la formula del successo. C’è un modo per verificare se un’impresa di successo ha le carte in regola per decollare: chiedere all’imprenditore di illustrare il modello di business dell’azienda, ovvero la sua formula di successo. Se otterrete una descrizione sintetica e completa, l’azienda è pronta per il grande balzo, se viceversa la descrizione, come spesso accade, è confusa e lacunosa, allora i presupposti non sono buoni. Descrivere in dettaglio le condizioni che rendono possibile la replica della formula di successo su più sedi o in diversi mercati è la base per uscire da una dimensione legata alla persona e puntare ad una dimensione di sistema. La replica efficace si basa inoltre sempre più su di un uso competitivo delle tecnologie informative.
3. Finanza. Dotare l’impresa di risorse finanziarie idonee. Il timore di perdere il controllo azionario dell’impresa è quasi sempre alla base della cronica sottocapitalizzazione di molte medie imprese italiane. Il concetto secondo il quale è sei volte meglio controllare il 60% di un’impresa che vale 1000 piuttosto che il 100% di una che vale 100 è facile da esprimere ma molto più difficile da realizzare. Il momento del decollo è quello in cui maggiori sono i fabbisogni finanziari, tuttavia, la scarsa dimestichezza che la piccola e media impresa ha con gli strumenti di finanza straordinaria e la sostanziale e interessata ignoranza che, in merito a tali strumenti, caratterizza la gran parte del sistema bancario italiano fanno sì che la preferenza venga accordata a fonti tradizionali di finanziamento. Queste però sono fortemente soggette alle variazioni di mercato e tendono sempre di più a divenire costose e limitate.
4. Fattore umano. Dare progressivamente all’azienda una struttura manageriale. Di frequente l’ansia di controllare integralmente l’organizzazione porta a scelte discutibili sul piano organizzativo: scelte che privilegiano le persone rispetto alle competenze, con il risultato di arrivare al momento del decollo con un corpo gracile e con un management debole. Non è assolutamente facile managerializzare un’azienda di piccole o medie dimensioni, il punto sta nel farlo progressivamente e non dall’oggi al domani. La soluzione ideale è quella di formare e motivare adeguatamente i collaboratori più promettenti o gli stessi componenti della famiglia che mostrano attitudine, ma ciò richiede tempo, lungimiranza e disponibilità al sacrificio. La storia di due grandi imprese familiari italiane, Ferrero e Barilla, mostra come l’aver affiancato un management di qualità alla presenza carismatica della famiglia abbia permesso di raggiungere traguardi di eccellenza senza per questo escludere la famiglia dalla stanza dei bottoni.
5. Forza. Rendere trasparente e negoziabile il valore e la forza dell’impresa. Disporre di una struttura finanziaria e di una strumentazione che renda agevole la valorizzazione dell’azienda consente di realizzare sistemi incentivanti estremamente efficaci e, al contempo, di risolvere alla base molti problemi di successione e governance. Meccanismi di incentivazione che portino i manager a comportarsi da imprenditori sono spesso il segreto di un decollo di successo. Per le aziende di medie dimensioni è possibile realizzare un percorso di quotazione che inizi dai mercati minori. Ma una buona trasparenza è ottenibile anche per le strutture più piccole, semplicemente adottando modelli di valutazione oggettivi, legati ad esempio all’EBITDA, al valore aggiunto (EVA) o ad altri indici di performance.
Pianificare e realizzare un decollo di successo
A questo punto, chiarite le condizioni necessarie, è utile analizzare nel dettaglio i due momenti chiave in grado di realizzare nella pratica un decollo di successo.
Il primo momento consiste nell’esplicitare, condividere e rendere credibili gli obiettivi a tre-cinque anni che si vogliono conseguire, oltre naturalmente alla strategia di sviluppo che si intende perseguire. Il secondo momento vede un doppio processo di riduzione progressiva del controllo, sia dal punto di vista organizzativo sia dal punto di vista azionario che, adeguatamente pianificato e gestito, darà il risultato di creare valore, rendendo questo stesso valore trasparente e negoziabile e conservando al contempo all’imprenditore il controllo della propria azienda.
Costruire un piano industriale solido, condiviso e credibile.
Spesso si sente affermare che molti dei problemi delle piccole e medie aziende derivano dall’assenza di una strategia industriale di medio-lungo termine. In realtà ciò non è quasi mai vero. Di regola una chiara strategia industriale c’è, ed è più frequente trovarla nelle aziende di piccola e media dimensione piuttosto che in quelle grandi, ma questa strategia è quasi sempre ben nascosta nella testa dell’imprenditore, quasi mai formalizzata e men che meno comunicata. Se si vogliono coinvolgere manager brillanti, finanziatori o operatori della comunità finanziaria che condividano i rischi in un progetto industriale, quest’ultimo deve essere solido e credibile ma, più di ogni altra cosa, deve essere comunicabile per poter essere condiviso. Quindi, a differenza di quanto si crede comunemente, la costruzione di un piano industriale non consiste nel creare una strategia, ma nel mettere nero su bianco e nell’affinare progressivamente la strategia industriale che l’imprenditore conosce bene e che ha maturato nel tempo, corredandola di dati numerici ed evidenze fattuali che la rendano credibile e condivisibile.
L’obiettivo primario di un piano industriale è quello di comunicare, in maniera credibile, gli obiettivi ed il cammino di sviluppo che l’azienda intende percorrere nei successivi tre-cinque anni. Il tutto corredato da numeri che da un lato ne documentino la credibilità e dall’altro ne descrivano compiutamente investimenti, costi, ritorni e redditività attesa. È buona norma prestare sempre grande attenzione ai dati di vendita attuali e futuri su cui si basa il piano. Spesso è molto utile far precedere al piano un ciclo di market test che dia a questi dati la tangibilità e la credibilità che poi supporteranno il resto della documentazione.
Generare valore riducendo, ma conservando, il controllo.
Far crescere rapidamente un’azienda, conservando il controllo dell’organizzazione e della struttura azionaria, rappresenta una sorta di quadratura del cerchio per la gran parte degli imprenditori che si trovano in una fase di crescita e che vedono avvicinarsi questo momento.
In aggiunta molti imprenditori sentono la necessità di rendere trasparente ed in qualche maniera negoziabile il valore della propria azienda. E questo sia per rendere in prospettiva più agevole la fase di successione, sia per poter mettere in atto modelli di incentivazione del management simili a quelli adottati nelle grandi aziende e basati per l’appunto su obiettivi di crescita del valore dell’azienda.
L’esperienza insegna che questa quadratura va ricercata anticipando in maniera graduale e progressiva la riduzione del controllo, mettendo al contempo in atto meccanismi basati su opzioni incrociate che tutelino allo stesso tempo proprietà e investitori. In buona sostanza si deve poter dare all’azienda una spinta manageriale e finanziaria molto intensa ma sostanzialmente limitata nel tempo. È quello che normalmente fanno, in grande, i fondi di private equity: focalizzare al meglio una strategia di crescita rapida e rilevante, spesso tramite acquisizioni, mettere sulla plancia di comando un management fortemente motivato, fornire carburante finanziario, e poi cedere o, se possibile, andare in quotazione. Se ci pensiamo bene, è proprio quello che si desidera: il decollo unito alla trasparenza e alla negoziabilità del valore!
La cattiva notizia è che quasi tutti i fondi entrano preferibilmente su operazioni di rilevante importanza e che comportino la cessione delle quote di controllo dell’azienda; la buona notizia è che non esistono solo i grandi fondi, ma anche investitori privati o istituzionali che intervengono per valori alla portata delle PMI. Ma è anche vero che è possibile selezionare anche altri strumenti nel portafoglio della finanza straordinaria. Ad esempio, oltre ai fondi di private equity esistono strumenti ibridi finanziamento partecipativo, una sorta di azioni privilegiate.
Infine, il percorso può essere concluso con la quotazione di una minoranza su un mercato regolamentato, conciliando in questo modo la creazione di valore, la sua trasparenza e la negoziabilità con la conservazione del controllo.
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