Crescita? ecco come realizzarla davvero
La crescita di una nazione si verifica se cresce il fatturato delle sue aziende e Il fatturato di un’azienda cresce se questa dispone di un vantaggio competitivo, quindi una nazione cresce se molte delle sue aziende dispongono di un vantaggio competitivo, di costo o di qualità. Oltre le ricette canoniche, ecco tre proposte in grado di favorire realmente, rapidamente e a costo zero la crescita quantitativa e numerica delle nostre aziende competitive.
Se il bilancio dello Stato Italiano venisse beneficiato di un euro per ogni volta che un politico, un giornalista, un sindacalista o un economista pronuncia, alla presenza di almeno cinque persone, la parola crescita il nostro Paese avrebbe già risolto tutti i suoi propri problemi di debito. La stessa cosa non potrebbe avvenire se invece della parola in questione si contabilizzassero le ricette concrete e realizzabili proposte dagli stessi politici, giornalisti, sindacalisti o economisti per avviare realmente la crescita stessa. Questa parola: crescita, è infatti diventata una sorta di mantra che tutti pronunciano sempre con l’aria di aver detto la cosa giusta, ma che gli stessi si guardano bene dal declinare in indicazioni concrete e praticabili affinché tale crescita si realizzi. Le ricette più ovvie e canoniche: infrastrutture, flessibilità, giustizia rapida, pagamenti veloci, meno tasse per tutti, non sono applicabili in una situazione come quella che l’Italia attualmente attraversa o richiedono, almeno da noi, tempi storici.  Certo è che nessuno si azzarda a fornire estensivamente la propria visione su Cosa possa generare realmente crescita nel breve termine e sul Come la si possa effettivamente ottenere.

Cosa genera realmente “la Crescita” ?
Facciamo prima di ogni cosa un po’ di chiarezza. Una nazione cresce se cresce il suo Prodotto Interno Lordo. Ma il PIL altro non è che la somma del prodotto, o più semplicemente, del fatturato di tutte le entità nazionali che generano commercialmente prodotti o servizi. Detto in parole povere, e con qualche semplificazione accettabile, il PIL cresce se le aziende del paese vendono, contate tutte assieme, di più dello scorso anno e, analogamente diminuisce se le stesse vendono di meno. In un sistema chiuso, ovvero in un mondo globalizzato si usa dire che la concorrenza è un gioco competitivo a somma zero. Se torniamo al linguaggio che tutti siamo in grado di capire questo equivale a dire che se le aziende di un paese vendono complessivamente di più dello scorso anno, ce ne saranno altre, sparse per il pianeta, che vedranno complessivamente diminuire della stessa misura il proprio fatturato. Gli esperti di macroeonomia mi perdoneranno qualche semplificazione, ma noi che ci occupiamo d’impresa possiamo ipotizzare, ai fini di questo ragionamento, che tutto ciò sia corretto. In altre parole una nazione cresce se i propri prodotti e i propri servizi si vendono stabilmente di più, a spese dei prodotti e dei servizi prodotti in altre nazioni.
A questo punto è essenziale chiarire le condizioni alle quali ciò può verificarsi. Esistono infatti solo due casi in cui un’azienda vende stabilmente di più dei propri concorrenti. Il primo caso si verifica quando i prodotti o i servizi dell’azienda in questione, presentano un livello qualitativo soddisfacente per la maggioranza dei clienti e vengono proposti ad un prezzo sensibilmente inferiore a quello offerto dai concorrenti grazie a costi di produzione decisamente minori. Il secondo caso viceversa si verifica quando ai prodotti o ai servizi dell’azienda in questione, pur caratterizzati da un prezzo superiore ma comunque accettabile per larghi strati della clientela, venga riconosciuto un livello qualitativo chiaramente superiore. Nel primo caso si parla di leadership di costo, nel secondo caso si parla di ledership di differenziazione o, se vogliamo, di qualità.  Queste, come molti avranno riconosciuto, sono le due uniche condizioni di Vantaggio Competitivo che Porter già ci descriveva nel 1980 e che ancora oggi sono perfettamente valide anche nel caso di aggregati di aziende, ovvero di nazioni. Se proviamo infatti a chiederci quali potrebbero essere oggi le due nazioni-tipo che più di altre hanno saputo costruire nei fatti un percorso di crescita stabile, ci verranno sicuramente in mente Cina e Germania, la prima esempio calzante di leadership di costo e la seconda esempio altrettanto calzante di leadership di qualità.
È chiaro che se parliamo di una nazione è possibile che nei suoi confini vi si trovino sia aziende leader di costo sia aziende leader di qualità. Tuttavia a ben riflettere, fra le nazioni caratterizzate con evidenza da vantaggi competitivi in più settori, possiamo agevolmente trovare esempi di nazioni prevalentemente leader di qualità: Germania, Svezia, USA, o in alternativa esempi di nazioni prevalentemente leader di costo: Cina, Taiwan, Corea del sud, mentre ci troveremo in difficoltà se cercheremo nazioni complessivamente leader sia di costo sia di qualità.
Proviamo quindi a ricapitolare il ragionamento condotto sino a questo punto:
  1. La crescita del PIL di una nazione si verifica se cresce il fatturato delle proprie aziende
  2. Il fatturato di un’azienda cresce se questa dispone di un vantaggio competitivo
  3. Un’azienda dispone di un vantaggio competitivo se è ha una leadership, di costo o di qualità
  4. Una nazione cresce se molte delle sue aziende dispongono di un vantaggio competitivo, di costo o di qualità
A questo punto è chiara la risposta alla prima domanda,  ciò che genera realmente e stabilmente la crescita è il Vantaggio Competitivo delle proprie aziende. E il vantaggio competitivo ha solo due facce: prodotti e servizi di alta qualità a prezzi di poco superiori o, in alternativa, prodotti e servizi di qualità solida, essenziale, ma a prezzi sensibilmente inferiori… tertium non datur, chi sta nel mezzo quando le cose vanno bene arranca, quando il ciclo economico è negativo soccombe. Tutto il resto sono chiacchiere o modi per aggirare il problema che, ripetiamo, ha un solo nome: Vantaggio Competitivo.

Come ottenere una crescita stabile?
Se alla base di una crescita stabile vi è il Vantaggio Competitivo della gran parte delle aziende di una nazione allora mette conto a questo punto domandarsi come sia possibile, per una nazione come l’Italia, favorire l’acquisizione in un tempo ragionevolmente breve, da parte delle aziende che operano nel suo territorio, di Vantaggi Competitivi di costo o di qualità. Cominciamo subito con lo sgombrare il campo dalle tradizionali ricette: infrastrutture, giustizia veloce, pagamenti rapidi, flessibilità, liberalizzazioni: sono tutte cose vere e sacrosante, ma non è questa la sede per riparlarne inutilmente per l’ennesima volta. Quando arriveranno saranno tutte benvenute ma è inutile sperare di ottenerle presto ed è velleitario pensare di ottenere in tempi rapidi vantaggi competitivi strutturali, sostenibili con queste ricette.
In Italia esistono circa tre milioni di partite IVA, tra professionisti e micro business, circa 500.000 piccole aziende, qualche migliaio di medie aziende con struttura organizzativa e manageriale e poche centinaia di grandi aziende. Fra le grandi realtà industriali e di servizi le aziende dotate di vantaggi competitivi sostenibili e difendibili a livello internazionale si contano sulla dita di una mano, le altre sono in fase di stallo o in situazione di crisi conclamata. La loro dinamicità e, di conseguenza, le probabilità che possano acquisire nel breve periodo vantaggi competitivi sostenibili e difendibili sono pari a quelle che ha un normale giocatore del superenalotto di vincere il jackpot. Viceversa fra le medie e, ancora di più, fra le piccole realtà imprenditoriali vi sono fenomeni di dinamicità e potenziale competitivo estremamente più frequenti e numericamente molto più importanti. Applicazioni per le comunicazioni mobili, apparecchiature per l’energia, dispositivi medicali e diagnostici, software, meccanica di precisione, design, arredamento, nautica: in questi ed in altri settori possiamo trovare fra le PMI italiane veri esempi di eccellenza e vantaggi competitivi attuali e potenziali formidabili.
Le piccole e medie imprese di oggi sono le uniche che, per il loro numero e per la loro rapidità reattiva possono attivare rapidamente una crescita del PIL e ambire a prendere domani il posto delle grandi aziende che non riescono più ad essere competitive e che non sanno a rinnovarsi. Magari dopodomani toccherà a qualcuna di loro farsi da parte.
A ben riflettere anche noi abbiamo avuto i nostri Jobs e i nostri Zuckerberg che tuttavia hanno realizzato le loro Apple e le loro facebook non in Italia. Questi Jobs italiani si chiamavano Marconi, Meucci, Fermi, ma anche di Viterbi o Faggin, loro e molti altri meno famosi hanno ridisegnato la realtà in cui viviamo. Essi hanno dato l’avvio alla creazione di settori industriali di enorme importanza: la telefonia, le reti wireless, l’energia nucleare, l’informatica miniaturizzata, la musica liquida. 
Ecco quindi, è l’innovazione costante e diffusa che è in grado di creare vantaggi competitivi sostenibili e difendibili, ricchezza e posti di lavoro. La crescita non si realizza per decreto ma solo se in ogni momento ci sono cento, mille, diecimila piccole e medie imprese che, con alla testa un imprenditore un po’ visionario che persegue con decisione e tenacia i propri sogni e le proprie intuizioni, generano crescita vera e veri posti di lavoro.
Parliamo tuttavia di soggetti dimensionalmente ridotti, spesso con poche decine di dipendenti, e per questo  caratterizzati nel nostro paese da tre ben precisi handicap:
  • Forza contrattuale nulla
  • Limitato rilievo politico
  • Ridotto consenso sociale
Forza contrattuale nulla. Verso i grandi clienti: infatti le PMI che forniscono grandi gruppi e pubblica amministrazione sono costrette a finanziarli con dilazioni nei pagamenti e con il versamento immediato dell’IVA, non è un caso che le più dinamiche fra loro abbiano scelto da tempo la via dell’export. Verso le istituzioni finanziarie: infatti le banche per i ben noti motivi sono assenti, ma soprattutto è assente il capitale di sviluppo, i nostri investitori non hanno la voglia né l’interesse a riconoscere il vantaggio competitivo che nasce. “Con loro feci la più grande stupidaggine della mia vita, Jobs e Wozniak mi chiesero se ero disposto a mettere un milione di dollari nella loro Apple in cambio del 20%, decisi che non era il caso di perdere tempo con quei due ragazzi, era il 1980 e avevo altro di più serio da fare. Da mangiarsi le mani!” è Carlo De Benedetti che parla in una recente intervista.
Limitato rilievo politico. Se un’azienda da 1000 dipendenti è in difficoltà si attivano sindacati e politici, non conta se sia bollita, senza mercato e con prodotti vecchi: scattano subito agevolazioni, ammortizzatori e piani di rilancio. Se chiudono 100 aziende da 10 dipendenti ciascuna non se ne accorge nessuno, anche se fra queste ce ne sono molte con produzioni di punta e mercati in crescita. Per il nostro ministro del lavoro esistono solo le ferriere, con relative rappresentanze sindacali e le consuete liturgie. L’azienda che produce apps per smartphone, che si vendono in tutto il mondo con un click, non ha neanche dignità di parola.
Ridotto consenso sociale. Il lavoro, quello vero, lo crea l’impresa e l’impresa lo crea l’imprenditore. Tuttavia nel nostro paese avviene una cosa strana il lavoro è buono, l’imprenditore è cattivo, per principio. A sentire le fiction che passa il convento televisivo dell’una o dell’altra parrocchia, la gran parte dei media o in una parola l’opinione comune, la figura dell’imprenditore è sempre vista come un modello negativo e, soprattutto, da non imitare. L’ideale per avere tanti giovani imprenditori e un flusso costante di innovazione
A questo punto vediamo quali potrebbero essere tre fertilizzanti in grado di favorire realmente, rapidamente e a costo zero la crescita quantitativa e numerica delle PMI competitive:
  • Capitale di sviluppo
  • Basta tende ad ossigeno
  • Consenso diffuso
Capitali di sviluppo. Tutte le aziende in fase di crescita hanno un elevato fabbisogno di capitale, per gli investimenti ma soprattutto per il circolante, visti i tempi di pagamento che vanno di moda nel nostro paese per le PMI.  Se le istituzioni finanziarie e gli investitori sono latitanti i capitali possono provenire solo da chi le promuove, che tuttavia tipicamente ha poco da investire, dalla famiglia o dalla propria cerchia di amici, che così subiscono un rischio di investimento elevatissimo ma tassato più dei titoli di stato. Solo chi è in grado di valutare professionalmente il potenziale di sviluppo di queste imprese, riducendo al contempo il rischio dell’investimento tramite la molteplicità degli interventi in numerose realtà, potrebbe supportare efficacemente queste aziende. Si tratta dei fondi di Development Capital che, a differenza dei fondi di Buy-Out, non hanno l’obiettivo di spolpare l’azienda con l’aiuto delle banche, ma mirano a supportarne finanziariamente e managerialmente lo sviluppo per poi uscire con un buon guadagno. Questi fondi sono molto attivi nel mondo anglosassone ma poco diffusi in Italia per un semplice motivo: il nostro è l’unico paese nel quale le tasse sulle rendite finanziarie sono direttamente proporzionali al rischio! Meno rischi e meno paghi di tasse, più rischi e più paghi. Allora chi è così folle da rischiare di più per pagare più di tasse? A questo aggiungiamo che un privato cittadino che sapesse dei fondi Development Capital e volesse investire in un fondo di questo tipo potrebbe farlo soltanto investendo una somma minima di 500.000€ e certo non tramite la banca sotto casa. Se poi teniamo conto che un investimento con queste caratteristiche non dovrebbe superare il 5-10% del portafoglio di un investitore accorto vediamo facilmente che lo sviluppo di imprese piccole ma competitive in Italia può essere nel concreto finanziata o da istituzioni, e sappiamo che queste favoriranno prima gli amici ed i parenti e dopo, molto dopo chi ha un potenziale, o da privati dotati di una ricchezza finanziaria pari ad almeno 5-10 milioni di Euro, ovvero poche centinaia di persone.
Ecco allora la prima linea guida per attivare a costo zero una crescita stabile. Far conoscere, detassare, o quanto meno agevolare fiscalmente, fondi armonizzati (UCITS 3) accessibili ad una platea molto ampia di investitori, che abbiano come obiettivo il Development Capital nazionale.
Basta tende ad ossigeno. I contributi in conto capitale, i finanziamenti agevolati, e tutta la selva di regalie europee, nazionali, regionali e comunali riservate alle imprese, altro non sono che tende ad ossigeno che fanno nascere e tengono in vita un gran numero di aziende destinate prima o poi a morire perché incapaci di battersi da sole nell’arena competitiva globale. Ma quel che è peggio è che tali incentivi finiscono per creare una distorsione della concorrenza, esattamente come accade per le imprese che evadono la fiscalità e possono presentarsi al mercato con prezzi artificialmente inferiori. Aggiungiamo che le agevolazioni, erogate da funzionari che non hanno alcun interesse nel successo o nell’insuccesso delle aziende incentivate, finiscono spesso, e la cronaca giudiziaria ne è piena, per essere canalizzate su aziende messe in piedi in poco tempo ad opera del parente o dell’amico, con lo scopo di cogliere l’opportunità presentata da una legge o da una norma, per poi chiudere dopo pochi mesi.
Stimare il costo di queste agevolazioni è estremamente arduo ma alcune fonti stimano questo valore oltre  10 miliardi di Euro ogni anno. Ci sono aziende, soprattutto nelle aree meno industrializzate del paese, che hanno sviluppato un know-how sofisticato per accedere a tutte le agevolazioni disponibili. Queste aziende vendono poco, non esportano nulla, sono deboli sul mercato, ma vivono bene grazie a generosi contributi e continui finanziamenti a tassi esigui. Sono i pretoriani della nostra imprenditoria, che ben protetti in patria influenzano a proprio favore l’imperatore. Le aziende che viceversa esportano e lottano nei mercati globali, accedono alle briciole di queste incentivazioni perché non hanno tempo per seguirne le relazioni politiche necessarie. Queste imprese sono viceversa i legionari che nelle propaggini dell’impero difendono il vessillo di Roma.
Ecco allora la seconda linea guida per attivare a costo zero una crescita stabile. Eliminare tutte le agevolazioni per le imprese e trasformarle in riduzione della fiscalità: in questo modo chi è in grado di vendere di più ha più risorse per crescere e chi non è in grado di vendere chiude e non sottrae risorse.
Consenso. Non c’è nulla di così individuale, emotivo e irrazionale come la creazione e lo sviluppo di un’impresa. L’imprenditore mette in gioco tutte le proprie risorse umane e materiali, spesso indebitandosi e compiendo numerose rinunce. Solo se molte persone vogliono essere imprenditori, sia che sognino in grande sia che vogliano anche solo essere artigiani o imprenditori di se stessi, può esserci stabilmente innovazione, vantaggio competitivo e di conseguenza crescita.  L’imprenditore fa impresa per voglia di indipendenza, per ambizione, per il benessere proprio, della propria famiglia o della propria comunità, talvolta, ma più raramente, ricercando notorietà o potere. In ogni caso senza imprenditori non c’è impresa e senza impresa non c’è crescita.
Oggi la cultura prevalente in Italia, nei media, nei discorsi di molti politici, e in gran parte dell’opinione pubblica vede nell’imprenditore un soggetto negativo, uno sfruttatore, un evasore a priori. Stranamente se invece ci spostiamo in Svizzera o in Austria ecco che lo stesso imprenditore che in Italia è visto come un delinquente viene immediatamente trattato da politici, istituzioni, banche, come un benefattore cui riservare innanzitutto una totale esenzione dalle tasse per un congruo numero di anni a patto di creare un minimo di posti di lavoro. Forse è solo il buon senso che permette ai nostri vicini di capire che senza imprenditori non c’è impresa e senza impresa non c’è lavoro. Quindi senza imprenditori non c’è lavoro.
Con questo non si vogliono in alcun modo giustificare i comportamenti illegali che si riscontrano nelle imprese così come peraltro si riscontrano nelle istituzioni pubbliche e private. Tali comportamenti vanno repressi con decisione, ma quello che è avvenuto in Italia negli ultimi venti anni è stata una vera e propria emarginazione culturale di quella classe di persone cui oggi si chiede di creare sviluppo.
Ecco allora la terza e forse la più difficile linea guida per attivare a costo zero una crescita stabile. Creare tramite i media, nuovi e tradizionali, la consapevolezza che l’impresa che nasce e si sviluppa è l’unica fonte di crescita stabile, perché l’unica fonte di vantaggio competitivo. Realizzando così un consenso positivo attorno alla figura dell’imprenditore.