Il tempo, vero vantaggio competitivo
Ogni prodotto, ogni servizio, qualunque sia la clientela cui si indirizza, alla sua estrema essenza esso è tempo. Perché qualunque prodotto, qualunque servizio, nel momento in cui viene utilizzato dal cliente finale ha, in ultima analisi, come scopo ultimo quello di fare risparmiare il tempo o di far trascorrere il tempo presente o quello futuro in maniera piacevole, sicura o confortevole. La conseguenza di questa semplice ma terribile considerazione è che qualunque cosa voi pensiate di fornire ai vostri clienti, i vostri clienti comprano da voi tempo, solo ed esclusivamente tempo. La vita è troppo breve per sprecarla a realizzare i sogni degli altri.
Oscar Wilde
La sera del 9 novembre del 1989 un portavoce del governo della DDR, la Germania comunista, annunciava rilevanti modifiche alle norme che regolavano i viaggi dalla Germania est a quella occidentale, realizzando così una sostanziale liberalizzazione dei movimenti attraverso il confine fra est e ovest, il cosiddetto muro. I Berlinesi dell’est interpretarono quelle nuove norme a modo loro, ovvero come l’autorizzazione nei fatti a distruggere quel muro che da 29 anni divideva in due una delle più belle città europee. Il muro venne infatti demolito con tutti i mezzi: martelli, mazze, mani nude. Famiglie, comunità e gruppi di amici, per anni separati dal muro si abbracciavano mentre le traballanti Trabant sciamavano fumanti ad ovest, tutti alla ricerca di una libertà a lungo sognata.
Il marxismo fallì per molti motivi, macro e microeconomici, sociali e più banalmente comportamentali. Un motivo che tuttavia pochi hanno indagato a fondo e che, credo, meriterebbe molto più spazio di quanto qui dedicato, è quello relativo alla scarsa attenzione che Marx attribuì al valore del tempo nel determinare i comportamenti economici e sociali delle persone. In definitiva perseguendo una società dove tutti dovevano produrre secondo le proprie capacità e consumare secondo i propri bisogni egli intendeva combattere la proprietà privata considerandola l’espressione dell’avidità proiettata al di là delle lecite necessità personali. Facendo questo tuttavia trascurava il fatto che la proprietà, nella sua essenza, per la grande maggioranza delle persone costituisce il modo più intuitivo di acquistare del tempo, di comprare un po’ di eternità, di soddisfare in sostanza il più grande bisogno che tutti noi abbiamo: quello di sopravvivere alla nostra morte. Se infatti chi può o chi sa farlo realizza opere d’arte o d’ingegno che vivranno nel tempo, tutti desiderano lasciare qualcosa dopo di se, e questo si concretizza nella volontà di possesso di qualcosa che, in definitiva, è il succedaneo dell’immortalità. Ovvero del tempo.
Tutto è tempo
Ogni prodotto, ogni servizio, qualunque sia la clientela cui si indirizza, alla sua estrema essenza esso è tempo. Perché qualunque prodotto, qualunque servizio, nel momento in cui viene utilizzato dal cliente finale ha, in ultima analisi, come scopo ultimo quello di fare risparmiare il tempo o di far trascorrere il tempo presente o quello futuro in maniera piacevole, sicura o confortevole. La conseguenza di questa semplice ma terribile considerazione è che qualunque cosa voi pensiate di fornire ai vostri clienti, i vostri clienti comprano da voi tempo, solo ed esclusivamente tempo. E se nel processo di acquisto e di utilizzazione dei vostri prodotti o dei vostri servizi voi sprecate, non tenete nel giusto rispetto o distruggete il tempo dei vostri clienti in definitiva è come se forniste loro meno o nulla di quel prodotto o di quel servizio che avete promesso e che il cliente vi sta pagando. Con questa chiave di lettura diventano chiari e comprensibili certi successi inspiegabili e repentini o, di converso, risultano logici certi fallimenti. Se tutto ciò è perfettamente vero, e facilmente dimostrabile, per i beni ed i servizi di consumo, con pochi aggiustamenti può essere assunto come linea guida anche per i beni ed i servizi industriali. In questi infatti anche quando la gestione del tempo del cliente non è, in ultima analisi, l’oggetto primario della transazione sempre più spesso comunque concorre a determinare il vantaggio competitivo. Il tempo del cliente è quindi oggi la fonte prima del vantaggio competitivo virtualmente in ogni settore. E questa circostanza, che per molti costituisce una vera novità, è carica di importanti conseguenze per molte aziende e per interi settori. I processi di acquisto sono profondamente cambiati e sono tutt’ora in profonda evoluzione, One-stop-shopping, On-line shopping, multicanalità, One-contact-solution, sono concetti oramai usciti dalle mitologie della new economy e rappresentano nella realtà il modo di comportarsi di fasce dimensionalmente importanti di clientela in ogni settore. Le percezioni di valore di segmenti sempre più estesi di clientela si sono radicalmente modificate negli ultimi anni valorizzando in maniera esponenziale il proprio tempo, con la conseguenza da un lato di far morire progressivamente alcuni prodotti ed alcuni servizi, e dall’altro di farne affermare altri del tutto nuovi. La conseguenza è che interi settori si trovano a dover ridisegnare di sana pianta la propria strategia di offerta e di servizio, pena la loro rapida scomparsa. Compagnie aeree, banche, assicurazioni, compagnie telefoniche, aziende energetiche, servizi postali, compagnie ferroviarie, distribuzione, agenzie di viaggio, provate a pensare questi ed altri settori come erano solo venti anni fa! In alcuni casi si stenta a pensare che si trattasse della stessa azienda o dello stesso servizio. Cosa ha in comune Ryanair con Alitalia? Forse solo la definizione di settore. Cosa accomuna un ufficio postale di oggi con quello di vent’anni fa, forse solo la posizione nella città. In tutti i casi sta vincendo chi rispetta l’unico imperativo dell’era del cliente, mentre va a soccombere chi lo dimentica. E l’imperativo categorico della nuova era è oggi chiaro: valorizzare il tempo del cliente, nessuno può trascurarlo impunemente a lungo. Valorizzare significa dare valore ma anche migliorare e infatti è così che va intesa questa regola aurea del nuovo marketing. Un’azienda valorizza il tempo dei propri clienti se lo risparmia per loro o se crea un’esperienza positiva attuale o promessa.
In valore del tempo nella storia
I grandi cambiamenti nella storia dell’umanità hanno sempre coinciso con una innovazione tecnologica e con una ridefinizione delle metriche del tempo e del concetto stesso di possesso del tempo. La prima svolta ebbe luogo con l’inizio della società agricola, circa 10.000 anni or sono. La prosperità e lo sviluppo di un popolo dipendeva allora in massima parte dalla sua capacità di individuare correttamente il periodo migliore per seminare. Non è un caso se ancora oggi, solo per il tempo, usiamo una base di numerazione sessagesimale che deriva dalle osservazioni astronomiche degli Egizi e degli Assiri, bravi astronomi e, di conseguenza, ottimi agricoltori. I loro sacerdoti crearono un calendario che li metteva in grado di comunicare correttamente ai loro popoli il tempo adatto per la semina. La misura ed il controllo del tempo apparteneva allora ad una ristretta casta di scienziati, la grande massa delle persone non possedeva né conosceva il tempo, ne intuiva il fluire solo con il mutare delle stagioni ed osservava i precetti dei sacerdoti finalizzati unicamente a consentire una produzione agricola tale da sconfiggere le carestie e trasformare i cacciatori in agricoltori. Furono gli Egizi ad inventare il grano ed il pane ed a sperimentare, di conseguenza, per primi le patologie di un’alimentazione eccessivamente sbilanciata verso gli amidi. In definitiva gli Egizi grazie alla prima ridefinizione del tempo costruirono la prosperità su cui costruire un impero. I romani costruirono un nuovo e più articolata gerarchia di possesso del tempo. Gli schiavi non possedevano in nulla il proprio tempo, erano anima e corpo del proprio padrone, ventiquattr’ore al giorno. I soldati cedevano il proprio tempo per un determinato periodo della propria vita e ne ricevevano in cambio, se vittoriosi, terre, prede e onore. I patrizi infine possedevano il proprio tempo, parzialmente quello dei militari e totalmente quello degli schiavi. I romani inoltre furono i primi a studiare, codificare e, in ultima analisi possedere in maniera strutturata e utilizzabile, due dimensioni essenziali del tempo il passato e futuro. Tramite lo studio della storia essi costruirono le prime regole della strategia e in questo modo i romani per primi teorizzarono concetti oggi a noi familiari come il vantaggio competitivo, le strutture organizzative, i flussi informativi, quindi in definitiva con la storia e la strategia i romani per primi dominarono proprio il passato e il futuro, il tempo che è trascorso ed il tempo che deve venire. Ma il valore economico, e quindi di potere e prosperità, derivante da una ridefinizione del tempo trova la sua più evidente conferma nella riforma del calendario voluta da Carlo Magno in corrispondenza dell’invenzione dell’aratro su ruote. Attribuendo nuovi nomi ai mesi convinse lentamente i contadini a seguire un nuovo e più efficiente sistema di rotazione delle colture che permetteva incrementi di produzione di oltre il 25%. Il surplus economico che derivò dalla nuova tecnologia e dal nuovo modo di misurare il tempo pose le basi per il grande sviluppo che ebbero le città nell’ VIII secolo. Agli inizi del secondo secolo le città europee entrarono in rotta di collisione con i potentati feudali. Il simbolo della città era il campanile che, con le sue campane, rappresentava l’orologio della collettività. Ancora una volta il controllo e la misura del tempo contrassegna la prosperità di un gruppo di persone. Ma anche il passaggio di testimone della ricchezza e del potere dalle classi feudali alla borghesia mercantile fra il ‘700 e l’800 coincide con una nuova ridefinizione degli orizzonti temporali e con una innovazione organizzativa. I feudatari vivevano tipicamente solo il presente, hic et nunc recitavano gli editti di riscossione, come gli agricoltori consideravano passato e futuro una sequenza immutabile di giorni e stagioni, di tasse, gabelle e opulenza. La borghesia mercantile si sviluppò mentre venivano sviluppati i primi principi della contabilità moderna soprattutto a merito della loro capacità di attribuire al tempo una prospettiva radicalmente differente. Se un mercante infatti organizzava una nave per le indie prima di poter considerare conclusa la spedizione, ottenendone dei profitti, potevano trascorrere anche tre anni. La prospettiva di breve termine dei feudatari rapidamente mostra la sua inferiorità rispetto a quella di medio-lungo termine delle borghesie mercantili. Ancora una volta la coppia tecnologia e controllo del tempo determina un cambiamento storico. Così come aratro e nuove stagioni decretarono la prosperità dei comuni e delle città, allo stesso modo contabilità e lungo termine sancirono la ricchezza dei mercanti del settecento. Con il vapore e la rivoluzione industriale il tempo divenne nuovamente la variabile chiave nei rapporti di lavoro. I lavoratori in fabbrica cedevano una quota rilevante del loro tempo in cambio di un salario, il prodotto finito non li interessava, spesso non lo conoscevano. Per la prima volta, con la definizione netta, data dalle sirene delle fabbriche, del tempo ceduto nasce una nuova definizione altrettanto chiara, quella del tempo libero. Schiavi e contadini non conoscevano questa nozione. Il tempo dei primi non apparteneva a loro, per i secondi non vi erano altre distinzioni fra lavoro e riposo al di là di quelle dettate dalla religione o dagli astri. Nella civiltà industriale si consolida la spaccatura fra il tempo ceduto alla fabbrica, caratterizzato dalla fatica, talvolta dalla sofferenza ed il tempo libero vera vita, da passare con la famiglia e gli amici, pagato con il tempo di lavoro. La società industriale cresce e si sviluppa sul binomio energia e tempo. Energia fossile che moltiplica per cento, mille, diecimila la forza lavoro creando un surplus di beni inimmaginabile solo qualche secolo prima, tempo degli operai ceduto alla fabbrica in cambio del benessere. Ancora una volta tempo e tecnologia decretano l’inizio di una nuova epoca.
La restituzione del tempo
Negli ultimi anni, nel nostro mondo occidentale, tuttavia si è aperta una nuova era. Il cambiamento è iniziato lentamente per poi assumere una velocità sempre maggiore. Prima negli studi professionali, poi nelle piccole aziende, poi lentamente anche nelle grandi aziende, complice la tecnologia che ha ridotto progressivamente gli spazi per i lavori ripetitivi e meccanici degli operai e degli impiegati, ed ha creato le premesse per il lavoro a distanza, tutto è cambiato. I rapporti di possesso del tempo si sono modificati radicalmente ed oggi larghe fasce di lavoratori non vengono più remunerati per il loro tempo ma per i loro risultati. Le conseguenze sono rilevanti. Il tempo non viene più ceduto in blocco ad un soggetto terzo, ma viene ceduto a quest’ultimo un risultato: il rispetto di una scadenza, un progetto, un prodotto finito. Il tempo viene progressivamente restituito al suo legittimo e naturale proprietario che ne diviene un custode molto più geloso ed intollerante di prima. Si fa tenue la linea di demarcazione fra tempo libero e tempo lavorativo. Nel momento in cui non è più il tempo ma il risultato il parametro di valutazione e di remunerazione tutto il tempo è uguale ed è tutto virtualmente nostro! Nella società dell’informazione la gran parte dei lavoratori non producono più beni, producono e-mail, documenti, report, progetti, riunioni, in generale informazione stessa. A realizzare i beni che un tempo erano prodotti dagli operai provvedono oggi macchine e robot sempre più sofisticati. Il compito del lavoratore dell’era dell’informazione è unicamente, si fa per dire, quella di interpretare creativamente i flussi enormi di informazione che attraversano l’organizzazione per concorrere a dare alla propria azienda un vantaggio sui concorrenti. Un vantaggio che in ultima analisi viene decretato da chi sceglie ed acquista i beni prodotti, ovvero il cliente. In definitiva l’attuale era dell’informazione altro non è che l’era del cliente. Ma se il tempo non è più di altri, ma ci appartiene, la nostra disponibilità a vederlo sprecato in un’attesa ad un call center, in un punto vendita mal organizzato, in un servizio assistenza inconcludente, questa disponibilità dicevo, diventa pressoché nulla. Nell’era del cliente quindi il tempo è di nuovo del cliente stesso e quest’ultimo non è più disposto a vederlo svalutato da un fornitore disattento. Ancora una volta nuove tecnologie e una ridefinizione del concetto di tempo hanno creato le premesse per nuovi percorsi di sviluppo e per un ridisegno dei rapporti di forza fra le imprese e le nazioni. Le tecnologie informative unite ai nuovi modelli di lavoro basati sui risultati e non sul tempo hanno creato una nuova umanità molto più gelosa del proprio tempo, proprio perché avverte che questo tempo le appartiene molto più di prima.
La domanda è ora, quanto durerà la società dell’informazione? Dopo 10.000 anni di società agricola, governata dall’aratro e dai mesi, dopo 200 anni di società industriale, governata dall’energia e dalle sirene della fabbrica, quanto durerà la nostra società dell’informazione governata dalle tecnologie informative e dal valore del tempo? Quale modello di società ci aspetta una volta che, liberati grazie alle macchine dal lavoro manuale ed affrancati anche da quello intellettuale per merito di computer, smartphone e cloud, perderemo del tutto la nozione di tempo libero? Probabilmente dopo la società dei muscoli e dopo quella della ragione avrà il sopravvento la società delle emozioni. Dopo la società dell’informazione avremo la società dei sogni? Certo è che industrie come quella del lusso, quella della moda o lo show business, industrie a vario modo e titolo collegate con i sogni, mai come oggi hanno rappresentato quote così rilevanti dell’economia di intere nazioni.
Oscar Wilde
La sera del 9 novembre del 1989 un portavoce del governo della DDR, la Germania comunista, annunciava rilevanti modifiche alle norme che regolavano i viaggi dalla Germania est a quella occidentale, realizzando così una sostanziale liberalizzazione dei movimenti attraverso il confine fra est e ovest, il cosiddetto muro. I Berlinesi dell’est interpretarono quelle nuove norme a modo loro, ovvero come l’autorizzazione nei fatti a distruggere quel muro che da 29 anni divideva in due una delle più belle città europee. Il muro venne infatti demolito con tutti i mezzi: martelli, mazze, mani nude. Famiglie, comunità e gruppi di amici, per anni separati dal muro si abbracciavano mentre le traballanti Trabant sciamavano fumanti ad ovest, tutti alla ricerca di una libertà a lungo sognata.
Il marxismo fallì per molti motivi, macro e microeconomici, sociali e più banalmente comportamentali. Un motivo che tuttavia pochi hanno indagato a fondo e che, credo, meriterebbe molto più spazio di quanto qui dedicato, è quello relativo alla scarsa attenzione che Marx attribuì al valore del tempo nel determinare i comportamenti economici e sociali delle persone. In definitiva perseguendo una società dove tutti dovevano produrre secondo le proprie capacità e consumare secondo i propri bisogni egli intendeva combattere la proprietà privata considerandola l’espressione dell’avidità proiettata al di là delle lecite necessità personali. Facendo questo tuttavia trascurava il fatto che la proprietà, nella sua essenza, per la grande maggioranza delle persone costituisce il modo più intuitivo di acquistare del tempo, di comprare un po’ di eternità, di soddisfare in sostanza il più grande bisogno che tutti noi abbiamo: quello di sopravvivere alla nostra morte. Se infatti chi può o chi sa farlo realizza opere d’arte o d’ingegno che vivranno nel tempo, tutti desiderano lasciare qualcosa dopo di se, e questo si concretizza nella volontà di possesso di qualcosa che, in definitiva, è il succedaneo dell’immortalità. Ovvero del tempo.
Tutto è tempo
Ogni prodotto, ogni servizio, qualunque sia la clientela cui si indirizza, alla sua estrema essenza esso è tempo. Perché qualunque prodotto, qualunque servizio, nel momento in cui viene utilizzato dal cliente finale ha, in ultima analisi, come scopo ultimo quello di fare risparmiare il tempo o di far trascorrere il tempo presente o quello futuro in maniera piacevole, sicura o confortevole. La conseguenza di questa semplice ma terribile considerazione è che qualunque cosa voi pensiate di fornire ai vostri clienti, i vostri clienti comprano da voi tempo, solo ed esclusivamente tempo. E se nel processo di acquisto e di utilizzazione dei vostri prodotti o dei vostri servizi voi sprecate, non tenete nel giusto rispetto o distruggete il tempo dei vostri clienti in definitiva è come se forniste loro meno o nulla di quel prodotto o di quel servizio che avete promesso e che il cliente vi sta pagando. Con questa chiave di lettura diventano chiari e comprensibili certi successi inspiegabili e repentini o, di converso, risultano logici certi fallimenti. Se tutto ciò è perfettamente vero, e facilmente dimostrabile, per i beni ed i servizi di consumo, con pochi aggiustamenti può essere assunto come linea guida anche per i beni ed i servizi industriali. In questi infatti anche quando la gestione del tempo del cliente non è, in ultima analisi, l’oggetto primario della transazione sempre più spesso comunque concorre a determinare il vantaggio competitivo. Il tempo del cliente è quindi oggi la fonte prima del vantaggio competitivo virtualmente in ogni settore. E questa circostanza, che per molti costituisce una vera novità, è carica di importanti conseguenze per molte aziende e per interi settori. I processi di acquisto sono profondamente cambiati e sono tutt’ora in profonda evoluzione, One-stop-shopping, On-line shopping, multicanalità, One-contact-solution, sono concetti oramai usciti dalle mitologie della new economy e rappresentano nella realtà il modo di comportarsi di fasce dimensionalmente importanti di clientela in ogni settore. Le percezioni di valore di segmenti sempre più estesi di clientela si sono radicalmente modificate negli ultimi anni valorizzando in maniera esponenziale il proprio tempo, con la conseguenza da un lato di far morire progressivamente alcuni prodotti ed alcuni servizi, e dall’altro di farne affermare altri del tutto nuovi. La conseguenza è che interi settori si trovano a dover ridisegnare di sana pianta la propria strategia di offerta e di servizio, pena la loro rapida scomparsa. Compagnie aeree, banche, assicurazioni, compagnie telefoniche, aziende energetiche, servizi postali, compagnie ferroviarie, distribuzione, agenzie di viaggio, provate a pensare questi ed altri settori come erano solo venti anni fa! In alcuni casi si stenta a pensare che si trattasse della stessa azienda o dello stesso servizio. Cosa ha in comune Ryanair con Alitalia? Forse solo la definizione di settore. Cosa accomuna un ufficio postale di oggi con quello di vent’anni fa, forse solo la posizione nella città. In tutti i casi sta vincendo chi rispetta l’unico imperativo dell’era del cliente, mentre va a soccombere chi lo dimentica. E l’imperativo categorico della nuova era è oggi chiaro: valorizzare il tempo del cliente, nessuno può trascurarlo impunemente a lungo. Valorizzare significa dare valore ma anche migliorare e infatti è così che va intesa questa regola aurea del nuovo marketing. Un’azienda valorizza il tempo dei propri clienti se lo risparmia per loro o se crea un’esperienza positiva attuale o promessa.
In valore del tempo nella storia
I grandi cambiamenti nella storia dell’umanità hanno sempre coinciso con una innovazione tecnologica e con una ridefinizione delle metriche del tempo e del concetto stesso di possesso del tempo. La prima svolta ebbe luogo con l’inizio della società agricola, circa 10.000 anni or sono. La prosperità e lo sviluppo di un popolo dipendeva allora in massima parte dalla sua capacità di individuare correttamente il periodo migliore per seminare. Non è un caso se ancora oggi, solo per il tempo, usiamo una base di numerazione sessagesimale che deriva dalle osservazioni astronomiche degli Egizi e degli Assiri, bravi astronomi e, di conseguenza, ottimi agricoltori. I loro sacerdoti crearono un calendario che li metteva in grado di comunicare correttamente ai loro popoli il tempo adatto per la semina. La misura ed il controllo del tempo apparteneva allora ad una ristretta casta di scienziati, la grande massa delle persone non possedeva né conosceva il tempo, ne intuiva il fluire solo con il mutare delle stagioni ed osservava i precetti dei sacerdoti finalizzati unicamente a consentire una produzione agricola tale da sconfiggere le carestie e trasformare i cacciatori in agricoltori. Furono gli Egizi ad inventare il grano ed il pane ed a sperimentare, di conseguenza, per primi le patologie di un’alimentazione eccessivamente sbilanciata verso gli amidi. In definitiva gli Egizi grazie alla prima ridefinizione del tempo costruirono la prosperità su cui costruire un impero. I romani costruirono un nuovo e più articolata gerarchia di possesso del tempo. Gli schiavi non possedevano in nulla il proprio tempo, erano anima e corpo del proprio padrone, ventiquattr’ore al giorno. I soldati cedevano il proprio tempo per un determinato periodo della propria vita e ne ricevevano in cambio, se vittoriosi, terre, prede e onore. I patrizi infine possedevano il proprio tempo, parzialmente quello dei militari e totalmente quello degli schiavi. I romani inoltre furono i primi a studiare, codificare e, in ultima analisi possedere in maniera strutturata e utilizzabile, due dimensioni essenziali del tempo il passato e futuro. Tramite lo studio della storia essi costruirono le prime regole della strategia e in questo modo i romani per primi teorizzarono concetti oggi a noi familiari come il vantaggio competitivo, le strutture organizzative, i flussi informativi, quindi in definitiva con la storia e la strategia i romani per primi dominarono proprio il passato e il futuro, il tempo che è trascorso ed il tempo che deve venire. Ma il valore economico, e quindi di potere e prosperità, derivante da una ridefinizione del tempo trova la sua più evidente conferma nella riforma del calendario voluta da Carlo Magno in corrispondenza dell’invenzione dell’aratro su ruote. Attribuendo nuovi nomi ai mesi convinse lentamente i contadini a seguire un nuovo e più efficiente sistema di rotazione delle colture che permetteva incrementi di produzione di oltre il 25%. Il surplus economico che derivò dalla nuova tecnologia e dal nuovo modo di misurare il tempo pose le basi per il grande sviluppo che ebbero le città nell’ VIII secolo. Agli inizi del secondo secolo le città europee entrarono in rotta di collisione con i potentati feudali. Il simbolo della città era il campanile che, con le sue campane, rappresentava l’orologio della collettività. Ancora una volta il controllo e la misura del tempo contrassegna la prosperità di un gruppo di persone. Ma anche il passaggio di testimone della ricchezza e del potere dalle classi feudali alla borghesia mercantile fra il ‘700 e l’800 coincide con una nuova ridefinizione degli orizzonti temporali e con una innovazione organizzativa. I feudatari vivevano tipicamente solo il presente, hic et nunc recitavano gli editti di riscossione, come gli agricoltori consideravano passato e futuro una sequenza immutabile di giorni e stagioni, di tasse, gabelle e opulenza. La borghesia mercantile si sviluppò mentre venivano sviluppati i primi principi della contabilità moderna soprattutto a merito della loro capacità di attribuire al tempo una prospettiva radicalmente differente. Se un mercante infatti organizzava una nave per le indie prima di poter considerare conclusa la spedizione, ottenendone dei profitti, potevano trascorrere anche tre anni. La prospettiva di breve termine dei feudatari rapidamente mostra la sua inferiorità rispetto a quella di medio-lungo termine delle borghesie mercantili. Ancora una volta la coppia tecnologia e controllo del tempo determina un cambiamento storico. Così come aratro e nuove stagioni decretarono la prosperità dei comuni e delle città, allo stesso modo contabilità e lungo termine sancirono la ricchezza dei mercanti del settecento. Con il vapore e la rivoluzione industriale il tempo divenne nuovamente la variabile chiave nei rapporti di lavoro. I lavoratori in fabbrica cedevano una quota rilevante del loro tempo in cambio di un salario, il prodotto finito non li interessava, spesso non lo conoscevano. Per la prima volta, con la definizione netta, data dalle sirene delle fabbriche, del tempo ceduto nasce una nuova definizione altrettanto chiara, quella del tempo libero. Schiavi e contadini non conoscevano questa nozione. Il tempo dei primi non apparteneva a loro, per i secondi non vi erano altre distinzioni fra lavoro e riposo al di là di quelle dettate dalla religione o dagli astri. Nella civiltà industriale si consolida la spaccatura fra il tempo ceduto alla fabbrica, caratterizzato dalla fatica, talvolta dalla sofferenza ed il tempo libero vera vita, da passare con la famiglia e gli amici, pagato con il tempo di lavoro. La società industriale cresce e si sviluppa sul binomio energia e tempo. Energia fossile che moltiplica per cento, mille, diecimila la forza lavoro creando un surplus di beni inimmaginabile solo qualche secolo prima, tempo degli operai ceduto alla fabbrica in cambio del benessere. Ancora una volta tempo e tecnologia decretano l’inizio di una nuova epoca.
La restituzione del tempo
Negli ultimi anni, nel nostro mondo occidentale, tuttavia si è aperta una nuova era. Il cambiamento è iniziato lentamente per poi assumere una velocità sempre maggiore. Prima negli studi professionali, poi nelle piccole aziende, poi lentamente anche nelle grandi aziende, complice la tecnologia che ha ridotto progressivamente gli spazi per i lavori ripetitivi e meccanici degli operai e degli impiegati, ed ha creato le premesse per il lavoro a distanza, tutto è cambiato. I rapporti di possesso del tempo si sono modificati radicalmente ed oggi larghe fasce di lavoratori non vengono più remunerati per il loro tempo ma per i loro risultati. Le conseguenze sono rilevanti. Il tempo non viene più ceduto in blocco ad un soggetto terzo, ma viene ceduto a quest’ultimo un risultato: il rispetto di una scadenza, un progetto, un prodotto finito. Il tempo viene progressivamente restituito al suo legittimo e naturale proprietario che ne diviene un custode molto più geloso ed intollerante di prima. Si fa tenue la linea di demarcazione fra tempo libero e tempo lavorativo. Nel momento in cui non è più il tempo ma il risultato il parametro di valutazione e di remunerazione tutto il tempo è uguale ed è tutto virtualmente nostro! Nella società dell’informazione la gran parte dei lavoratori non producono più beni, producono e-mail, documenti, report, progetti, riunioni, in generale informazione stessa. A realizzare i beni che un tempo erano prodotti dagli operai provvedono oggi macchine e robot sempre più sofisticati. Il compito del lavoratore dell’era dell’informazione è unicamente, si fa per dire, quella di interpretare creativamente i flussi enormi di informazione che attraversano l’organizzazione per concorrere a dare alla propria azienda un vantaggio sui concorrenti. Un vantaggio che in ultima analisi viene decretato da chi sceglie ed acquista i beni prodotti, ovvero il cliente. In definitiva l’attuale era dell’informazione altro non è che l’era del cliente. Ma se il tempo non è più di altri, ma ci appartiene, la nostra disponibilità a vederlo sprecato in un’attesa ad un call center, in un punto vendita mal organizzato, in un servizio assistenza inconcludente, questa disponibilità dicevo, diventa pressoché nulla. Nell’era del cliente quindi il tempo è di nuovo del cliente stesso e quest’ultimo non è più disposto a vederlo svalutato da un fornitore disattento. Ancora una volta nuove tecnologie e una ridefinizione del concetto di tempo hanno creato le premesse per nuovi percorsi di sviluppo e per un ridisegno dei rapporti di forza fra le imprese e le nazioni. Le tecnologie informative unite ai nuovi modelli di lavoro basati sui risultati e non sul tempo hanno creato una nuova umanità molto più gelosa del proprio tempo, proprio perché avverte che questo tempo le appartiene molto più di prima.
La domanda è ora, quanto durerà la società dell’informazione? Dopo 10.000 anni di società agricola, governata dall’aratro e dai mesi, dopo 200 anni di società industriale, governata dall’energia e dalle sirene della fabbrica, quanto durerà la nostra società dell’informazione governata dalle tecnologie informative e dal valore del tempo? Quale modello di società ci aspetta una volta che, liberati grazie alle macchine dal lavoro manuale ed affrancati anche da quello intellettuale per merito di computer, smartphone e cloud, perderemo del tutto la nozione di tempo libero? Probabilmente dopo la società dei muscoli e dopo quella della ragione avrà il sopravvento la società delle emozioni. Dopo la società dell’informazione avremo la società dei sogni? Certo è che industrie come quella del lusso, quella della moda o lo show business, industrie a vario modo e titolo collegate con i sogni, mai come oggi hanno rappresentato quote così rilevanti dell’economia di intere nazioni.
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